Facebook abbandona il Riconoscimento Facciale: ennesima trovata di marketing o seria preoccupazione per la privacy degli utenti?

“An Update On Our Use Of Facial Recognition” questo è il titolo della comunicazione ufficiale dello scorso 2 novembre che ha reso nota la decisione di Mark Zuckerberg di interrompere l’utilizzo di sistemi di riconoscimento faccialesulla sua celebre piattaforma di social network.

La comunicazione – a firma di Jerome Pesenti, vicepresidente della sezione di Intelligenza Artificiale (AI) di Meta (ex gruppo Facebook) – ha sbalordito l’opinione pubblica e presenta numerosi spunti interessanti. Innanzitutto, viene dichiarata l’intenzione di spegnere il sistema di Facial Recognition che riconosceva automaticamente i volti degli utenti che avessero prestato l’esplicito consenso a questo trattamento.
Il sistema veniva utilizzato per identificare circa un miliardo di utenti – pari a più di un terzo del totale degli utenti registrati – di cui il social si impegna a eliminare i dati relativi ai loro volti. Questa tecnologia, a detta dei loro creatori, apportava numerose migliorie all’esperienza di navigazione degli iscritti: il riconoscimento facciale permetteva sia di taggare più facilmente gli amici, ma anche di essere avvisati nel caso in cui qualcuno avesse condiviso una foto, o un video, dove l’algoritmo rilevava la nostra ignara presenza. 

Infine, Facebook comunica che questa decisione impatterà anche sulla cd. Automatic Alt Text, funzionalità pensata per le persone cieche o ipovedenti che crea in automatico una descrizione dell’immagine, la quale non conterrà più i nomi dei soggetti presenti nella foto.

La decisione di non ricorrere più a questa tecnologia si allinea alle posizioni di altre aziende tech: a giugno 2020 era stata IBM ad annunciare che non avrebbe più lavorato a sistemi di riconoscimento facciale dedicati ai programmi di sorveglianza di massa; dal maggio del 2021, invece, Amazon impedisce alla polizia statunitense l’uso del suo sistema di facial recognition. La motivazione di questa retromarcia, leggendo le parole di Jerome Pesenti, si rintraccia nella mancanza di leggi che delimitino con precisione i limiti e le responsabilità del ricorso a questa tecnologia. Di fatti, come abbiamo già visto in un altro approfondimento, è più che mai urgente un intervento legislativo in materia, che bilanci con attenzione i vantaggi del ricorso a questa tecnologia con i pericoli derivanti da un impiego sconsiderato o, più semplicemente, privo di una regolamentazione di dettaglio.

Ma la reale motivazione della decisione potrebbe non esaurirsi nella volontà del social di attendere un quadro giuridico chiaro in materia. Facebook, rinunciando all’impiego di uno degli algoritmi più sofisticati – e al tempo stesso intrusivi – che possiede, vuole comunicare la nuova visione ideologica della società, basata sulla creazione di un nuovo spazio digitale – il cd. “Metaverso” di cui Meta rappresenta l’abbreviazione e il nuovo nome del Brand – dove la privacy degli utenti sia ordinata in cima alla lista delle priorità dell’azienda.

Riducendo la questione ad un discorso di marketing, appare del tutto coerente – e lungimirante – la decisione di Zuckerberg di evitare il ricorso al riconoscimento facciale, tentando così di scollegare Meta dalle problematiche legate alla privacy di cui Facebook è spesso stata coinvolta.

Agli esperti, però, questa decisione non appare convincente per almeno due motivi.

Il primo riguarda la dichiarazione che i “dati raccolti in questi anni verranno eliminati entro la fine di dicembre 2021”. Questa affermazione rischia di generare un fraintendimento importante. Ammesso che Facebook riesca veramente ad eliminare queste informazioni dai propri database in maniera definitiva, la notizia che i dati verranno cancellati rischia di distogliere l’attenzione dal fatto che questi stessi dati siano già stati ampiamente utilizzati dagli algoritmi della società. Facebook ha sfruttato quelle informazioni e ha ricavato ingenti benefici – sia in termini economici che di sofisticazione tecnologica rispetto ai competitor – tramite l’allenamento dei propri algoritmi. Infatti, come abbiamo approfondito in un precedente articolo, i dati personali vengono utilizzati dalle aziende tech proprie per addestrare gli algoritmi e renderli più precisi. Un lavoro che Facebook ha condotto con risultati straordinari: Forbes stimava che DeepFace, l’algoritmo utilizzato dalla società di Zuckerberg per il riconoscimento facciale avesse, già nel 2014, un tasso di accuratezza pari al 97,25%. 
Nulla di male in tutto questo, sia chiaro. Ma essendo Facebook un’azienda che per anni ha sfruttato questa tecnologia, sarebbe stato opportuno specificare quanto i dati personali degli utenti siano stati fondamentali per assicurare un vantaggio competitivo enorme alla società.
Su questo punto, infine, non è da escludere – anzi, è del tutto plausibile -, che Meta nella creazione del nuovo “Metaverso” si avvarrà proprio degli algoritmi che Facebook ha utilizzato in questi anni e che, come abbiamo visto, sono stati perfezionati tramite i dati personali di più di un miliardo di utenti.

Il secondo motivo, invece, riguarda il silenzio sull’impiego del riconoscimento facciale in altre piattaforme del gruppo aziendale, come Instagram. Infatti, il social acquisito da Facebook nel 2012, fa ampio ricorso  questa tecnologia, ad esempio nella creazione dei cd. “filtri”, maschere virtuali che modificano il volto dell’utente. Ovviamente questi filtri, per funzionare correttamente, devono poter leggere i connotati fisionomici dell’utilizzatore; pertanto, non è ipotizzabile un abbandono completo al riconoscimento facciale. Non è chiaro, dalla comunicazione di Jerome Pesenti, come il gruppo Meta intenderà ricorrere a quella tecnologia di cui non possono fare a meno, ma di cui “aspettano” una regolamentazione urgente.

 

Daniele Dhoor Singh

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